Come ti rivoluziono la serie tv: Game of Thrones, dove se sei protagonista muori

In queste settimane non si fa altro che discutere (con spoiler su larga scala) sulla sesta stagione di Game of Thrones, attraverso ipotesi suggestive sul ruolo di Bran Stark o sulle origini di Jon Snow. Ora, al di là delle varie tesi diffuse sul web sui possibili sviluppi della serie, perché Game of Thrones è divenuta la più popolare serie tv degli ultimi anni? Perché la saga di G. R. R. Martin è così avvincente?

Alyssa Rosenberg del Washington Post afferma che: «Una delle cose che fanno della serie di romanzi di Martin e di Game of Thrones una cosa nuova, rispetto alla tradizionale narrazione del genere fantasy, è come mettono da parte gli artifici retorici. I cavalieri non hanno per forza un animo nobile. I re possono essere degli ubriaconi, degli idioti, o dei ragazzini malvagi. Dai matrimoni combinati non nascono necessariamente coppie appassionate, le donne sono regolarmente sottomesse e non hanno il diritto di rifiutare dei rapporti sessuali. La guerra è sporca e violenta. Ci sono anche persone normali, che però soffrono per colpa delle decisioni che i ricchi e i potenti fanno senza prenderli in considerazione». Dunque, un realismo ai confini dell’inverosimile, che se da un lato rivela dettagli inaspettati e abbatte l’ideale romantico da sempre legato a re e cavalieri di derivazione medievale, dall’altro manifesta uno sviluppo narrativo in cui dominano intrighi, violenza e ingiustizia retti da una serie indefinita di momenti di trepidazione e di suspense, mai casuali o scontati, inaugurando una nuova era dello storytelling attraverso l’introduzione di un particolare espediente narrativo: la morte del protagonista.

Secondo Todd VanDerWerff, capo della sezione culturale di Vox, il 12 giugno 2011 la televisione è cambiata. Quel giorno di giugno andò in onda negli Stati Uniti il nono episodio della prima stagione, l’episodio in cui fu decapitato Ned Stark, uno dei principali protagonisti della prima stagione di Game of Thrones. Fu una morte decisiva, perché andò contro la tradizionale prassi della narrativa per cui i protagonisti, specie se buoni come Ned Stark, sopravvivono sempre. Da allora tutte le nostre previsioni andarono in fumo, travolti dalla consapevolezza che nessun protagonista sarebbe stato immune a tale drastica e violenta sorte.

VanDerWerff spiega che: «La morte di un protagonista è un Rubicone che la tv non aveva quasi mai oltrepassato». Il capolavoro di Martin non può essere ridotto, quindi, a una definizione semplicistica di romanzo/serie tv fantasy, ma un’opera con uno sviluppo narrativo in continua evoluzione. E, anche se secondo alcuni uccidere tanti personaggi stia diventando nel corso della serie una pratica talmente assodata da diminuire l’impatto e il significato di quelle morti, non si può negare che Martin abbia sconvolto il nostro immaginario e la nostra idea di costruzione narrativa, realizzando un’opera innovativa e geniale, la cui struttura portante viene progressivamente stravolta da episodi inaspettati e imprevedibili che costringono il lettore o lo spettatore a modificare costantemente le proprie aspettative.

Redazione

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