ArT in PiLls: è vero quella di Magritte non è un pipa!
Il tradimento delle immagini (La trahison des images) è un dipinto di René Magritte, esponente belga della Surrealismo, che spesso ha creato scompiglio quando andavo a scuola, sia alle superiori, che all’università. Motivo? Ci risultava difficile accettare che quella dipinta da Magritte, tra il 1928/29, come sosteneva lui, non fosse una pipa.
Il dipinto (un olio su tela oggi conservato al Los Angeles County Museum of Art) è semplice ed essenziale, nel senso che su un fondo monocromo tendente al giallo ocra si innesta una pipa, rappresentata con cura e attenzione dettagliata. L’artista la definisce in modo certosino in ogni particolare: il corpo di legno marrone scuro, la fascetta dorata, il bocchino per il fumatore. Una pipa perfetta, pronta per essere caricata e fumata.
A mettere in crisi chi guarda il quadro a olio è la scritta nera posta sotto la pipa: “Ceci n’est pas un pipe” ossia “Questa non è una pipa”. Un errore? No. Una verità, e proprio in questa negazione della pipa sta il senso del titolo dell’operaIl tradimento delle immagini. Infatti, quella che Magritte dipinge non è una pipa vera, ma una sua rappresentazione. Sulla tela non c’è una pipa reale, un oggetto, ma una riproduzione possibile di esso. L’altro elemento che rimarca che quella raffigurata da Magritte non sia una pipa vera, è il fatto che quell’immagine a olio non può essere utilizzata per fumare. Quello che il surrealista Magritte ci ha voluto comunicare è la sottile, ma importante, differenza tra un oggetto fisico e concreto e la sua rappresentazione.
Magritte non fece altro che, ma lo fa ancora con i suoi dipinti, i stuzzicare la riflessione in chi osserva e cerca di comprendere l’opera. Con Il tradimento delle immagini, Magritte compie un’acuta riflessione sulla comunicazione usata dagli uomini e sui codici/convenzioni/segni che la costituiscono. La pipa dipinta da Magritte appartiene al mondo dei segni e dei codici della rappresentazione creati, da sempre, dall’uomo, ma non è una pipa vera, bensì una sua rappresentazione ideale o possibile, perché non ha la stessa consistenza fisica e tangibile, o meglio palpabile, che ha una pipa reale tenuta in mano o fumata.
Tale principio, nel quale vive il rapporto tra oggetto concreto e sua rappresentazione attraverso i segni creati dal genere umano, fu ripreso negli anni Sessanta e Settanta, anche da alcuni esponenti dell’arte concettuale che per far capire al meglio quali fossero le differenze tra un oggetto e le sue modalità di rappresentazione, spesso mettevano l’oggetto vero, la sua rappresentazione pittorica, o fotografica, e la sua definizione a parole. Tre modi diversi di mostrare e raccontare un oggetto reale, attraverso le convenzioni comunicative.